L’incontro tra Jorge Luis Borges e Astor Piazzolla avviene negli Anni Sessanta, come compimento naturale ed inevitabile di due percorsi, iniziati in tempi e modalità diversi, sotto la comune insegna di quel sortilegio chiamato tango, che Borges considerava la realizzazione argentina che meglio ha divulgato il nome del suo paese nel mondo.
Nel 1930, pubblicando Evaristo Carriego, Borges fa opera di sistemazione storica del tango, ne individua l’origine, le tematiche e l’ideologia e si riconosce pienamente in esso, arrivando a scrivere: “Forse la missione del tango è propria questa: dare agli argentini la certezza di essere stati valorosi, di avere adempiuto ai loro obblighi di coraggio e di onore”. A quella data, Borges ha 31 anni; Piazzolla solo 9: bisogna solo aspettare che il tempo porti a compimento quello che il destino sembra aver stabilito. Tempo e destino: due degli elementi tematici essenziali di tutta l’opera di Borges che confluiranno predominanti nella raccolta Per le sei corde, pubblicata nel 1965, e nel poemetto Il tango, contenuto nella raccolta L’altro, lo stesso dell’anno prima. In quegli anni anche Piazzolla ormai è maturo: ha già composto e pubblicato e può cimentarsi coi testi del più noto poeta. Arduo per un musicista dover sostenere, nel rapporto testo/musica, il compito nettamente più importante, se questo è il giudizio che Borges ha dei due elementi: “Io direi che il tango e la milonga esprimono in maniera diretta qualcosa che i poeti, molte volte, hanno voluto fare con le parole: la convinzione che combattere può essere una festa (….) senza mondo senza un tesoro comune di memorie evocabili attraverso il linguaggio non ci sarebbe certamente letteratura, ma la musica prescinde il mondo, potrebbe esistere la musica e non il mondo. La musica è volontà è passione; il tango antico, in quanto musica, suole trasmettere in maniera diretta questa bellicosa allegria”. Come dice Piazzolla: “la responsabilità è stata grande, però maggiore il compenso nello sperimentare che un poeta della sua importanza si è sentito identificato con tutti i miei temi” al punto da iniziare una collaborazione che ha portato il musicista a depositare le sue note sui versi preesistenti di Borges; anzi a comporre le musiche “obbedendo e rispettando” il contenuto delle liriche. Questo è possibile perché il legame tra i due è istintivo e inscindibile, quasi che non si riesca ad ascoltare o leggere l’uno senza che l’immaginazione lo completi con l’altro. Come se un ordito misterioso faccia sì che le loro produzioni possano mescolarsi infallibilmente quasi all’infinito.
Ciò vale anche come giustificazione teorica per NEL MODESTO CASO DELLE MIE MILONGHE l’operazione realizzata, nel decennale della scomparsa del compositore argentino, dai musicisti dell’ENSEMBLE DE MINUIT (Laura Miradoli, pianoforte; Roberto Piccoli, chitarra; Lorenzo Munari, fisarmonica; Mauro Albera, voce recitante).
In definitiva, si è cercato di fondere e con-fondere insieme due aleph, fino a farli perdere uno nell’altro: un’operazione originale che si differenzia dalle presenti innumerevoli esecuzioni del repertorio piazzolliano sia per la scelta della recitazione anziché del canto, come omaggio all’autonomia dei versi che preesistevano alla musica; sia per il suo articolarsi attorno a tre distinti momenti. Il primo presenta una scelta di musiche scritte da Piazzolla appositamente sui versi di Borges (El Tango, Jacinto Chiclana, A Don Nicanor Paredes, El titere, Alguien le dice al tango). Il secondo, più autonomo, verifica la stretta comunanza di orientamenti artistici dei due autori, associando testi di Borges, scelti con criteri di gusto personale, a musiche che Piazzolla ha composto autonomamente dai testi stessi (Milonga sin palabras, Libertango, Ave Maria, Primavera portena, Verano porteno, Otono porteno, Invierno porteno, Anos de soledad, Oblivion). Il terzo, quasi obbligato, esegue la convinzione di Borges che “le parole contano meno degli accordi”: esecuzioni di brani solo strumentali (El penultimo, Jean y Paul, Adios nonino), nel rispetto storico del fatto che “all’inizio il tango era privo di parole”.
Si compone così un progetto di note e parole che identifica un archetipo di uomo “capace di non alzare la voce / e di giocarsi la vita” che oggi sembra perduto dentro le pieghe della “idea globale” e del conformismo senza ideali. Riproporre oggi un discorso di poesia e tango significa, poi e soprattutto, rendere omaggio alla poetica forte di due autori, convinti che “tutto quello che muove gli uomini è materia del tango”, nella convinzione che, come ha detto Borges, “questa specie fortunata abbia, per quanto umile, il suo posto nell’universo”.